Appena usciti da Redavalle, percorrendo la strada per Barbianello, ci si imbatte in un cartello che dice: "Macelleria, produzione propria, vendita diretta". È l'allevamento, con annessa macelleria, della famiglia Delvitto, il posto giusto per chi vuole acquistare carne di manzo di qualità, prodotta ancora come si faceva una volta.
"Per l'alimentazione dei nostri capi usiamo solo erba medica, loitetto, soia e mais, tutti prodotti sui nostri terreni", spiega Giancarlo Delvitto, il capofamiglia, che ha messo in piedi l'azienda; ora è in pensione, ma aiuta il figlio Davide che prosegue l'attività. "Non usiamo farine animali nè tantomeno antibiotici e ormoni per pompare la crescita", afferma il signor Giancarlo. "Sono sempre stato contrario a questi metodi, tanto che per dieci anni ho addirittura smesso di fare l'allevatore. Sembrava che senza l'uso quei prodotti non si potesse stare sul mercato in modo competitivo. Ma gli effetti poi si sono visti... Quando ho ripreso ad allevare bovini ho deciso di cambiare sistema: non vendo più ai grossisti o ai supermercati, ma direttamente al consumatore. Abbiamo un buon giro di clienti, famiglie dei paesi vicini che vengono ogni 15 o 20 giorni a fare rifornimento e poi conservano la carne nel surgelatore per l'uso quotidiano. Qualche settimana nel surgelatore fa bene alla carne, migliora la sua consistenza, e il sapore non si perde, come succede invece se la si lascia congelata per troppo tempo".
Nella stalla dei Delvitto ci sono una ventina di bovini che ruminano tranquillamente. Quando il padrone si avvicina lo salutano con un muggito.
"Andiamo a prendere in Piemonte i vitellini appena svezzati e li facciamo crescere fino a quando raggiungono il giusto peso, verso i quattro anni", racconta Giancarlo Delvitto. "Poi li portiamo al macello di San Cipriano Po, a una decina di chilometri da Redavalle, dove si servono anche le coop emiliane. Trasportiamo i bovini vivi con un camion e dopo la macellazione ci riportano in fattoria i quarti, pronti per essere tagliati nelle varie parti, un lavoro che fa mio figlio Davide, mentre mia moglia si occupa della vendita".
In macelleria c'è infatti la signora Anna Maria, che oltre a vendere bistecche e filetti produce anche ottimi ravioli e conserve di frutta.
Accanto alla stalla c'è un grande capannone prefabbricato di cemento. "L'abbiamo costruito l'anno scorso per conservare il fieno e di paglia", dice Davide. "Contiene circa 600 balle da 5 quintali l'una; una parte la usiamo per i nostri animali, il resto lo rivendiamo". Negli ultimi anni l'Oltrepò Pavese è diventato uno dei maggiori produttori di fieno, esportato un po' in tutta Italia e anche all'estero.
Il mestiere Giancarlo Delvitto l'ha imparato quarant'anni fa dal padre, un importante commercante di bestiame. "Lo seguivo nei suoi viaggi all'estero, soprattutto in Francia, dove compravamo il bestiame che poi trasportavamo in Italia per rivenderlo", racconta. "Ho girato quasi tutta la Francia, dai Pirenei al Massiccio Centrale. I francesi hanno un vero culto per la carne rossa, che qui da noi si è un po' persa".
"In Francia l'allevamento viene ancora fatto in prevalenza all'aperto, salvo nei mesi freddi, quando le bestie sono ricoverate in stalla come da noi. Là il terreno è poco profondo, uno strato di qualche decina di centimetri sopra la roccia; non è adatto quindi alla coltivazione dell'erba medica, che richiede terreni profondi e calcarei, come quelli dell'Oltrepò Pavese. Gli agricoltori francesi fanno un primo sfalcio dell'erba quando è altra circa mezzo metro, in primavera; la fanno seccare e mettono da parte il fieno per l'inverno; poi fanno pascolare gli animali direttamente sui prati, spostandoli verso un nuovo appezzamento di terreno quando il precedende è ormai sfruttato. È un tipo di allevamento che si potrebbe fare anche da noi, in particolare nelle aree collinari come quelle dell'Oltrepò. C'è però il problema dei furti di bestiame: in Francia i contandini possono fidarsi a lasciare gli animali all'aperto sui pascoli: si limitano a controllare ogni tanto che tutto sia a posto e che non manchi l'acqua e il foraggio; da noi, per evitare che le bestie siano caricate su un camion e portate via, ci vorrebbero dei mandriani 24 ore su 24, come nel Far West".
Comunque con una corretta alimentazione si ottiene un'ottima carne anche allevando gli animali in stalla. "Il loietto fornisce i carboidrati, l'erba medica le proteine", spiega Giancarlo Delvitto. "Altre proteine le portano le farine di mais e di soia; dopo la spremitura dell'olio di cui i semi di soia sono ricchi, la pasta risultante viene sottoposta a tostatura e se ne ricava una farina ricca di proteine. Qualche manciata di sale una volta ogni tanto completa la dieta (alla stato brado i bovini lo ricaverebbero leccando le rocce)". Erba medica, loitetto, mais e soia vengono prodotti nei campi intorno alla fattoria, fertilizzati con il letame della stalla, come si faceva una volta. "Produciamo anche grano, e la paglia la usiamo per le lettiere".
Paglia e fieno sono conservati nel nuovo capannone, chiuso da un grande portale di metallo. Un'efficace protezione contro i piromani: "Ogni tanto qualche cascina va a fuoco per colpa di qualche stupido che si diverte a incendiare le balle di paglia".
Ma i piromani non sono l'unico problema per gli allevatori. "I guai", spiega Giancarlo Delvitto, "sono cominciati quando l'allevamento è diventata un'attività industriale come le altre, dove l'unico obiettivo era quello di aumentare la produzione abbassando i costi, senza preoccuparsi della qualità del prodotto. Si è arrivati così a sostituire il fieno con i mangimi di origine animale, prodotti con gli scarti dell'industria alimentare; grazie a questi mangimi gli animali crescono rapidamente ma con i rischi per la salute che tutti oggi conosciamo. Per accelerare ulteriormente la crescita si è ricorsi poi ad antibiotici e ormoni, aggravando ulteriormente i rischi. A quel punto ho detto basta e per dieci anni ho rinunciato all'allevamento. Era diventata un'attività in cui non mi riconoscevo più. Poi ho deciso di riprendere, ma con diversi criteri. Non più un allevamento di massa per la grande distribuzione, ma una produzione più limitata. Anche su consiglio della Coldiretti, ho deciso di provare a vendere direttamente al consumatore finale. Ci siamo attrezzati con le celle frigorifere e un locale adatto alla vendita e abbiamo cominciato la nuova attività. A distanza di qualche anno possiamo dire che l'esperimento è riuscito".